Rita Chiusa

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"Omnia vincit amor et nos cedamus amori" (Publio Virgilio Marone)

Rita Chiusa

Non sono nata in una località marina. Sono nata sul cocuzzolo di una montagna, spesso avvolta suggestivamente dalla nebbia, al centro della Sicilia, ad Enna, il 15 agosto 1966, in una città, a dire di molti, dimenticata da Dio. Da qui sono stata portata altrove, in tenera età, fra le nebbie della pianura padana, dove sono cresciuta e mi sono formata, assorbendo la laboriosità del popolo lombardo. Ho sempre avuto nostalgia, tuttavia, delle montagne verdi, del cielo stellato che sembra potersi toccare con un dito, dei miei primi anni di vita, accompagnandomi sempre un richiamo inspiegabile, un'eco riflesso nel mio animo. Per vie inaspettate, certamente anche volute, sono ritornata nella mia città natale, ormai adulta: sono stata riportata, così, al Centro: al centro di me stessa, delle mie Visioni, delle mie Parole, del mio Amore. La mia vita si è trasformata in un Centro di Unità, paradossalmente, nei vari distacchi vissuti, che non mi hanno separato, comunque, da me stessa, dall’Amore e dai suoi doni, dagli altri, nelle Parole. La Parola! Tutto per me diventa spunto per ascoltare ed esprimere la Parola. In essa ho trovato la Musica, il Colore, il Mare. Nella Parola, nel mio amore appassionato per Essa, ho trovato il pretesto per esprimere anche il mio Amore umano. Qui, nel mio “centro”, ogni distanza non appare tale, neanche quella dal Mare.

La mia collina

Sta oltre il gelo
la mia collina,
mentre il tuo sguardo,
lontano,
scioglie altrove
la brina/
È sempre sera
fino a domani
mattina,
quando il sole
d’inverno
ha il mio stesso pallore
e lo stupore non meraviglia
più gli occhi/
Grigie le mie Parole,
nate dentro alla nebbia
del Cuore, non bastano più/
Non bastano
come richiamo,
se il mio dire “Ti Amo”
abbia lasciato i suoi segni,
al tramonto, solo su fogli,
presto ingialliti/
Da questa finestra,
davanti alla mia collina,
presto ancora vedrò
i campi fioriti/
Forse, il mio Canto, allora,
sarà più leggero,
fino a raggiungerti
ancora:
tu il mio Suono,
io la tua Parola

 

Parole frantumate

Non fu per queste pieghe raggrinzite
sul palmo della mano, su cui trascorre
e preme il senso rovesciato della Vita,
né per il lavoro delle mie dolenti dita,
consunte dalla Musica del Vento,
che il ritrovar me stessa, percossa
dal mio Sogno dentro a un buio pesto,
mi fece frantumare in piaghe le Parole/
Davanti al mare, appare adesso logoro
il Silenzio, sdrucito ormai dal Tempo,
che si nutre come tarlo del succo
dei miei giorni e della linfa dell’Amore/
Assilla e assedia sempre un Canto
le rovine del mio Cuore/
Nel rivelarsi fitto e senza Luce
il sapore del Domani, stremata
anche l’Attesa ha perso il suo Colore/
Talvolta, tessendo la mia tela, in Poesia,
recede erosa la Speranza dai rivoli impietosi dell’Assenza,
segnata come secche pliche di un
Destino avverso

 

Se Amore potesse avere un Nome

Mi chiederai un giorno dove sia finita
ed io risponderò “fra i labirinti della Vita”,
dove solo un filo rosso ti dirà come tornare,
dentro a quelle vie, senza apparente uscita,
nel luogo in cui non ti salvai,
perché fu fragile il tuo riflesso Amore/
Ma di quel Tempo, battuto dal Ritmo
della tua breve presenza, la mia Parola
si fece Voce e rimarrà, inciso segno
imperituro sulla roccia, come cicatrice
che parla della sua ferita, senza poter dire
dell’inflitto male, dovuto alla tua assenza/
Se Amore potesse avere un nome,
di te direi di più/Ma solo tu rendesti muto
il Pianto, che trova ancora nel mio Vento
Parole stanche al mio dire di te,
nel mio provare a dimenticarti, aggrovigliato fra le tue false note
e il mio Canto perduto

 

Quasi mattina

Non dovrei più parlare con le farfalle
che bagnano in volo i campi,
piangendo notturna la brina da ali
che applaudono al sole,
come il sonno leggere
quando è quasi mattina/
Ho dismesso le vesti del Canto
gioioso delle cicale in estate,
quando deciso sorride il Colore
alla Vita sul grano che aspetti la mietitura/
Tutto ha il tuo Suono,
come quando la luce è riflessa
negli occhi di chi guardi ogni volta
in stupore il mare e l’Amore/
Non dovrei più nutrire
con le Parole di grano
la mia fame e placare la sete
che ha il mio Cuore di te
con gocce di brina/
Non dovrei più parlare
con le farfalle, ma ogni notte
è sempre quasi mattina

 

Nell’aria

La notte è amara/
La Gioia lasciò la mia dimora,
furtiva nel Silenzio
e in un tuo bacio,
che restò nelle Parole/
Musica insapore
ha ora il tuo respiro/
Poiché non è più il Vento
a scomporre i miei capelli,
ma è, nell’aria, un Canto,
senza note di Colore,
che vibra, fra Cielo e Terra,
da un punto all’altro,
fra tua presenza e assenza/
Dall’alba al tramonto,
trema la mia Voce e trova pace
soltanto al tuo cospetto